Scrive lo psichiatra
Vittorio Andreoli: “ormai abbiamo il mondo intero in tasca. In pochi centimetri
di plastica e microchip sono racchiuse infinite possibilità di comunicare,
informarsi, divertirsi, concludere un affare e addirittura innamorarsi. E’ il telefonino
(o smartphone), simbolo dell’era digitale, strumento che incarna e riassume il
bisogno tutto umano di parlare, ascoltare, capire”. La tecnologia ha indubbiamente apportato inimmaginabili vantaggi all’uomo moderno.
Ha abbreviato le distanze spazio-temporali dando immediatezza alla
comunicazione. Tuttavia, vi sono alcuni nodi di incertezza all’idea stessa di
tecnologia, poiché permangono le debolezze e le fragilità della natura umana.
La vita più pratica e veloce che ne consegue ha screditato il concetto di
lentezza spingendo l’uomo a correre sempre più rapidamente, fino al punto da
non potersi nemmeno soffermare a porsi delle domande. Non è da trascurare il
fatto che esista un legame tra il concetto di lentezza e lo spazio della
riflessione: “andare lenti - scrive il sociologo Franco Cassano - è saper
riempire la giornata con un tramonto”.
La paura è che la
tecnologia possa svuotare la mente dell’uomo, modificandola artificialmente nelle
sue strutture e affidando totalmente l’attività del processare al dispositivo digitale.
Il rischio è che l’essere umano “digitale” si
senta talmente sollevato dal senso della fatica da dimenticare di compiere le
azioni stesse del quotidiano, astraendosi sempre più dalla vera società; non è
raro, infatti, che si finisca fra le quattro mura di una stanza, entrando in
una sorta di vita parallela, più facile e più leggera, ma che fa parte, come
scrive Andreoli, “della logica dei viventi non umani, regredendo e passando
alla fase dei nostri antenati primitivi. Saremo dei primitivi tecnologizzati,
ma primitivi”. Il timore fondato è che questa società venga annullata e si
autodistruggerà chiudendosi nell’individualismo più estremo, nel narcisismo,
nell’eccessiva esaltazione dell’Io, con la conseguente rottura dei legami
sociali. L’uomo, prendendo ad esempio la “perfezione” del mondo social, sarà portato ad indossare
milioni di maschere al fine di creare un Io ideale, che non corrisponde a
quello reale. Si avrebbe allora una società vocata all’inutile, al superfluo,
alla rappresentazione di sé più appariscente e meno vivo.
Salvatore Cifalinò
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